giovedì 21 febbraio 2013

Creatività frichettona

Direi che posso iniziare questo paragrafo con la parola “fricchettona”. Così Toschi definisce la creatività dell’apparenza, conservatrice per vocazione, di maniera. La creatività degli effetti speciali. Quella della bella brochure insomma, per la quale basta avere un buon grafico. Se poi c’è anche un buon copywriter ancora meglio. Ma allora, quale creatività?

Non voglio essere ripetitiva, ma, a rischio di esserlo, ricordo: il cambiamento al di là della nostra volontà, un nuovo paradigma, il salto di sistema. E’ importante ridefinire le premesse. Se infatti non so cosa sia la comunicazione, so a cosa serve: far vedere con semplicità cose complicate ed eccezionali.
La creatività deve essere sempre a servizio della mediazione cognitiva (far vedere con semplicità) che Toschi e Rullani riconoscono alla comunicazione.

Come fare? Attraverso l'unico filo rosso che conosco: la progettualità. Raccontando la meravigliosa storia delle edizioni dei Promessi sposi, Toschi ci fa scoprire un Manzoni che per primo si rende conto di come le trasformazioni della tecnica tipografica comportino un cambiamento della sua autorialità.
Decide allora di curare personalmente le illustrazioni per i Promessi sposi. Decide di fare il menabò. Genio! Si occupa di scegliere tutti gli aspetti (tipografici e non) del suo libro e così amplia la sua azione creativa. Manzoni stringe il testo in limiti, ma con questi limiti loDirei che posso iniziare questo paragrafo con la parola “fricchettona”. Così Toschi definisce la creatività dell’apparenza, conservatrice per vocazione, di maniera. La creatività degli effetti speciali. Quella della bella brochure insomma, per la quale basta avere un buon grafico. Se poi c’è anche un buon copywriter ancora meglio. Ma allora, quale creatività?

Non voglio essere ripetitiva, ma, a rischio di esserlo, ricordo: il cambiamento al di là della nostra volontà, un nuovo paradigma, il salto di sistema. E’ importante ridefinire le premesse. Se infatti non so cosa sia la comunicazione, so a cosa serve: far vedere con semplicità cose complicate ed eccezionali.
La creatività deve essere sempre a servizio della mediazione cognitiva (far vedere con semplicità) che Toschi e Rullani riconoscono alla comunicazione.

Come fare? Attraverso l'unico filo rosso che conosco: la progettualità. Raccontando la meravigliosa storia delle edizioni dei Promessi sposi, Toschi ci fa scoprire un Manzoni che per primo si rende conto di come le trasformazioni della tecnica tipografica comportino un cambiamento della sua autorialità.
Decide allora di curare personalmente le illustrazioni per i Promessi sposi. Decide di fare il menabò. Genio! Si occupa di scegliere tutti gli aspetti (tipografici e non) del suo libro e così amplia la sua azione creativa. Manzoni stringe il testo in limiti, ma con questi limiti lo arricchisce. Se cerchiamo di rendere utile ai nostri tempi questo caso, ci rendiamo conto che l’influenza tra cambiamento tecnologico e assestamento dei ruoli è solo una metonimia di quello che richiede ogni salto di sistema, anche quello che stiamo vivendo.

L’azione con la quale rispondere: incanalare il flusso creativo attraverso limiti, perché a partire da questo ordine sarà possibile creare altro disordine generante.
Così nascono, se ci pensate, gli script di cui a volte, e anche in futuro, parliamo male. Il problema, quindi, non è l’esistenza degli script (se ho ben capito), ma riuscire a mandarli in soffitta quando risultano inutili o dannosi.
Se posso finire in bellezza, nessuno mi toglie dalla testa l’idea che sia stata proprio la creatività fricchettona a farci dimenticare dell’esistenza degli script. Ed eccoci allora: i comunicatori che, da buoni giullari di corte quali sono, diventano più realisti del re.

tratto da “La comunicazione generativa” di Luca Toschi.

Per questo la buona comunicazione presenta qualche cosa di paradossale, di inlogico, di non-senso; di provocatorio, non nell’apparenza di una creatività fricchettona, di maniera, conservativa per vocazione, ma nella sostanza, nella dimensione effettuale, concreta del suo essere. La comunicazione, quando tale, è straordinaria, sorprendente non per gli effetti speciali che può presentare e che generalmente presenta, ma, al contrario, per quello che può produrre, per la semplicità con cui può far vedere cose inconsuete, eccezionali, inattese, inventando la realtà tramite s/connessioni a cui non si era mai pensato. (Pagina 152)
L’atteggiamento culturale di chi rifugge dalla progettazione stessa, dalla programmazione, dalla pianificazione, tipico di chi preferisce vivere alla giornata, gestendo l’esistente, la perenne emergenza dell’hic et nunc. Un comportamento sempre fonte di problemi, ma che in una società come la nostra, immersa in processi veloci e incessantemente generativi di nuove realtà, diventa mortale. Letteralmente. (Pagina 53) arricchisce. Se cerchiamo di rendere utile ai nostri tempi questo caso, ci rendiamo conto che l’influenza tra cambiamento tecnologico e assestamento dei ruoli è solo una metonimia di quello che richiede ogni salto di sistema, anche quello che stiamo vivendo.
L’azione con la quale rispondere: incanalare il flusso creativo attraverso limiti, perché a partire da questo ordine sarà possibile creare altro disordine generante.
Così nascono, se ci pensate, gli script di cui a volte, e anche in futuro, parliamo male. Il problema, quindi, non è l’esistenza degli script (se ho ben capito), ma riuscire a mandarli in soffitta quando risultano inutili o dannosi.
Se posso finire in bellezza, nessuno mi toglie dalla testa l’idea che sia stata proprio la creatività fricchettona a farci dimenticare dell’esistenza degli script. Ed eccoci allora: i comunicatori che, da buoni giullari di corte quali sono, diventano più realisti del re.

tratto da “La comunicazione generativa” di Luca Toschi.

«Per questo la buona comunicazione presenta qualche cosa di paradossale, di inlogico, di non-senso; di provocatorio, non nell’apparenza di una creatività fricchettona, di maniera, conservativa per vocazione, ma nella sostanza, nella dimensione effettuale, concreta del suo essere. La comunicazione, quando tale, è straordinaria, sorprendente non per gli effetti speciali che può presentare e che generalmente presenta, ma, al contrario, per quello che può produrre, per la semplicità con cui può far vedere cose inconsuete, eccezionali, inattese, inventando la realtà tramite s/connessioni a cui non si era mai pensato». (Pagina 152) 
«L’atteggiamento culturale di chi rifugge dalla progettazione stessa, dalla programmazione, dalla pianificazione, tipico di chi preferisce vivere alla giornata, gestendo l’esistente, la perenne emergenza dell’hic et nunc. Un comportamento sempre fonte di problemi, ma che in una società come la nostra, immersa in processi veloci e incessantemente generativi di nuove realtà, diventa mortale. Letteralmente». (Pagina 53)